Stai accanto a chi ti sta a cuore…

Le emozioni che proviamo, pure se ci troviamo dinanzi alla stessa situazione, colgono ciascuno di noi in maniera del tutto originale. Non è possibile provare la stessa emozione di un’altra persona. Per quanto ti sforzerai di capire, più ti immedesimi, più ti allontani da ciò che sta provando chi non è te.

La dimensione emotiva, a differenza di quella razionale, rende ciascuno unico. Ciò che accade fa nascere in te una serie di emozioni che sono la derivazione del tuo vissuto, dei tuoi valori, dello stato d’animo presente nel momento in cui accade il fatto, il tuo modo di difenderti e miriadi di altre variabili che non potrebbero mai corrispondere a ciò che sta vivendo un altro.

Difronte alla immagine di una casa, dal punto di vista razionale, siamo tutti d’accordo che ci troviamo dinanzi a una casa. Ma quali siano le emozioni che scaturiscono da quella immagine, sono il frutto della elaborazione che ciascuno fa di ciò che vede. Sarà bella, triste, piena di fantasia, ricorderà l’infanzia, sarà nostalgia o desiderio di possederla e tanto altro. Nessuno di quanti la stanno guardando proverà la stessa emozione di un altro.

Le emozioni, rendendoti assolutamente unico, costruiscono, mano a mano la tua identità che, per definizione non può essere sovrapponibile a quella di nessun altro.

Eppure, viviamo spesso e sopratutto quando siamo accanto a chi ci sta davvero a cuore, la tentazione di associare le emozioni degli altri a ciò che proveremmo noi per lo stesso accadimento.

In effetti, sappiamo bene che le emozioni ci distinguono gli uni dagli altri ma è proprio questa distinzione che ci spaventa e giustifica la reazione di far calzare agli altri ciò che proviamo. Così facendo ed associando l’altro a te, riduci lo spazio ignoto, quello che non solo non conosci ma che non potrai mai conoscere proprio perché bagaglio unico e irripetibile di chi lo prova.

Immedesimarti diventa una difesa per accorciare le distanze tra te e gli altri. Credi di sapere cosa stia provando chi è difronte a te per il solo fatto che quella esperienza è capitata anche a te: in linea di massima, un’esperienza di dolore, è dolore anche per l’altro; un’esperienza di soddisfazione e di gioia, lo è anche per gli altri.

Sarà bene ripetere a noi stessi che ciò che prova profondamente l’altro, tu non lo potrai sapere mettendoti al suo posto perché non puoi essere al posto di un altro. È il suo posto esclusivo, immerso tra le sue emozioni…

“So quello che stai provando. L’ho provato anch’io!” – “Vedrai che il tempo farà sparire tutto. È stato così per me!” – “Attento ad esaltarti troppo, poi ci rimarrai male. So che vuol dire una delusione!”

A questo punto, credo che sia chiaro per chi legge che non basta aver vissuto la stessa situazione per provare la stessa emozione. Non è possibile.

Eppure, se immagini che l’altro provi le tue stesse emozioni, lo rendi più simile a te, più assimilabile ai tuoi modelli; l’altro diventa quasi parte di te, meno sconosciuto, una tua immagine allo specchio, familiare, prevedibile. Da un lato, non rappresenta sorprese; dall’altro, ti dà la possibilità di intervenire al sicuro perché ti muovi come vorresti che facesse un altro nella stessa situazione.

Ti sembra che questa sovrapposizione ti rassereni e, permettendoti una sicurezza maggiore, tutto il tuo reagire alla sua forte situazione emotiva appaia appropriato e, di conseguenza, vi affranchi, vi unisca, suggelli una relazione forte e al di sopra di ogni eventualità.

Durante le sessioni di coaching mi è tante volte capitato di sottolineare come questa falsa sicurezza, sia invece una delle cause di allontanamento nelle relazioni tra noi e gli altri. Più approcci la persona che ti sta difronte con la sicurezza di conoscere ciò che prova, più l’altro si sente non compreso, destinatario di ciò che proveresti tu, avvilito nella sua unicità. Interrompere continuamente con: “lo so, capisco, non c’è bisogno che ne parli”, non dà all’altro la possibilità di sentirsi dentro la tua vita, quanto piuttosto dentro la tua identità, che non è la sua. Un senso di estraneità e di distanza rompe quella prossimità indispensabile a fargli sentire: “Posso aiutarti, puoi fidarti!”.

Ti suggerisco, in qualunque situazione ci sia da costruire un’intesa forte sulla base emotiva, di avvicinarti in punta di piedi, uscendo da te senza entrare nella persona che ti sta a cuore; rimanendo fuori da pregiudizi e difese, oltre ogni timore di non essere all’altezza, a s c o l t a! E questo, nei confronti di un bimbo di 5 anni o di un adulto dai capelli bianchi, di un collega o dell’altra metà della tua vita, come di chiunque altro ti stia a cuore.

Rimani in silenzio e lascia che si fidi di te, non dare risposte ma sii attento alle domande, e al di sopra di ogni approccio, ascolta! Nella situazione emotiva l’unica posizione esistenziale che puoi realizzare è immaginare cosa l’altro stia provando ma sempre sulla base del suo racconto. “Immagino cosa provi …” anche se non puoi saperlo. L’obiettivo non è dimostrare di essere capace di aiutare, ma di affiancare, allearti e sollevare oppure gioire insieme e partecipare alla “sua festa”. Non lasciarti prendere dall’accoramento che spinge a fare, potresti dire la parola sbagliata al momento sbagliato. Rispetta la sua unicità e mostra a te stesso quanto tu ne sia consapevole frenando la tentazione di sostituirti.

Ascolta, ascolta e ancora ascolta e, se non ti racconta e non ci sono parole, ascolta il suo silenzio…


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